teamLab Borderless, Tokyo

Esperienze Immersive, tendenza o nuova modalità di fruizione?

Negli ultimi anni le mostre digitali meglio dette ‘immersive’, hanno conquistato le grandi città europee superando i botteghini di cinema e musei. Sono nate nel primo decennio degli anni 2000 ed hanno raggiunto una grande popolarità, fino a trasformarsi in un fenomeno di massa, cosa rara per il mondo della cultura.

E’un nuovo modo di fruire l’opera d’arte, un’esposizione non di opere materiali, fisiche, come eravamo soliti vedere, bensì di immagini digitali che le riproducono, accompagnate da effetti di luce e colonne sonore sincronizzate, proiettati in grandi spazi vuoti, sulle pareti, così come nei pavimenti o sul soffitto, in modo di avvolgere e travolgere completamente lo spettatore.

L’opera d’arte diventa una performance capace di creare emozioni nuove in uno spettatore sempre più pigro che non cerca nozioni ma sensazioni.

Pur essendo un fenomeno recente è molto articolato ed è riferibile a proposte ed esposizioni differenti. Dobbiamo distinguere le mostre virtuali e digitali, per lo più dedicate ai grandi maestri del passato, dai musei digitali, che offrono esperienze immersive e dalle installazioni, ovvero opere di artisti, designer e grandi musicisti, che lavorano con la tecnologia nel tentativo di abbattere le barriere fra opera, artista e fruitore. Tutte offrono esperienze inimmaginabili fino a pochissimi anni fa, ma quali sono le differenze?

Le mostre immersive o immersive experience, sono realizzate come eventi itineranti, replicabili anche contemporaneamente in diverse parti del mondo, che ruotano intorno a singoli artisti: “IMMERSIVE VAN GOGH EXHIBIT” è stata la pioniera, presentata per la prima volta a Parigi nel 2017, una mostra che ha fatto il giro del mondo arrivando a registrare ingressi, e dunque incassi da record. A fine 2021, la sua compagnia di produzione ‘’Lighthouse Immersive’’ parlava di una vendita complessiva di 4,5 milioni di biglietti e di 250 milioni di dollari di incassi (a cui andavano aggiunti 30 milioni di dollari di merchandise) cifre da grandi successi cinematografici e grandi guadagni se si pensa che questi allestimenti spesso necessitano di un budget inferiore a quello richiesto per la realizzazione di una mostra tradizionale che prevede il costo del prestito e quello non indifferente del trasporto di opere dal valore spesso inestimabile.

IMMERSIVE VAN GOGH

Dalle innumerevoli mostre temporanee alla nascita di spazi che prendono il nome di musei digitali il passo è stato breve e consequenziale.

A fare da apripista ancora una volta è la Francia, la società ‘Culturespaces’ nel 2010 sperimenta il suo primo centro d’arte digitale a Les Baux-de-Provence all’interno di una cava di bauxite dismessa.  I blocchi di roccia calcarea, bianchi, lisci ed altissimi, diventano uno schermo tridimensionale sui quali i riflettori proiettano monumentali immagini luminose, immergendo il pubblico in un’esperienza visiva molto coinvolgente, nasce le ‘Carrières de Lumieres’’ che nel 2018 diventa un vero e proprio concept e viene ripetuto a Parigi con l’ ‘Atelier des Lumière’, dove le mostre di maestri come Van Gogh, Klimt e degli impressionisti francesi hanno attirato fino ad oggi più di tre milioni di visitatori, di cui 1,2 solo il primo anno. 

Carrières de Lumieres

Seguendo il modello parigino, sempre ad opera della ‘Culturespaces’, a Bordeaux nel 2020 nasce il ‘Bassins de Lumières’, un museo costruito all’interno di una vecchia base sottomarina utilizzata durante la seconda guerra mondiale, 13.000 metri quadrati di superficie totale e 12.000 di area di proiezione, 90 videoproiettori, 80 altoparlanti e quattro grandi vasche per suggestive proiezioni sull’acqua. Da quel momento non c’è una grande capitale che non abbia fatto e non stia facendo le corse per creare il suo spazio digitale, spesso inserito in progetti di riqualificazione urbana.

Seguono le orme del modello francese la nuovissima ‘Lichthalle MAAG di Zurigo’,  il primo museo d’arte immersiva della Svizzera inaugurato il 22 settembre 2021 con una mostra dedicata a Frida Kahlo, e poi ancora il ‘Nxt Museum’ di Amsterdam, primo museo dei Paesi Bassi dedicato alla New Media Art, e la ‘Hall des Lumières’ di New York, un tempo sede dell’Emigrant Industrial Savings Bank, entrambi nati nel 2022 e sempre realizzati da ‘Culturespaces’ che ha esportato il concept anche a Seul e Dubai e chissà quanti ne nasceranno nei prossimi mesi cavalcando quella che sembrava una moda ma che a dire dalle presenze sembra una istituzione oramai.

Quello che accade al di fuori di questi grandi spazi è invece molto differente. Sempre più artisti si esprimono creando installazioni sensoriali. Sono il risultato di collaborazioni che questi ultimi intraprendono con designer ed esperti di tecnologia, ed è curioso che installazioni altamente tecnologiche spesso si interrogano sul rapporto fra l’essere umano e i cambiamenti tecnologici stessi come il caso di Shifting Proximities  costituita da otto installazioni multisensoriali tenutasi al ‘Nxt Museum di Amsterdam’ e ancora Silent Fall la foresta del duo artistico di Tokyo AA Murakami, alberi robotici dai quali nascono bolle che precipitando a terra evaporano in nuvole di fumo, il tutto immersi fra intesi odori di patchouli.

Walking with Water di Vladimir Nikolic è stata l’installazione con la quale l’artista serbo ha rappresentato il suo paese all’ultima biennale di Venezia. Anche in questo caso l’artista si è avvalso della tecnologia per rappresentare la sua opera. Niente figure, solo mare, in cui lo spettatore si perde alla ricerca di una linea d’orizzonte che rappresenta per tutti l’oltre, quell’oltre dove si celano i sogni e i desideri. Inutile dirlo, l’opera più fotografata ed instagrammata di tutta la Biennale. 

Walking with Water di Vladimir Nikolic

E poi c’è lui, ‘teamLab Borderless’ di Tokyo. Non è l’opera di un solo artista ma di un collettivo internazionale multidisciplinare che riunisce artisti, programmatori, ingegneri, animatori, matematici e architetti: il TeamLab, già noto per le sue installazioni interattive, che usano la realtà virtuale a fini artistici già dagli inizi degli anni 2000.   Il ‘teamLab Borderless’ non è facilmente classificabile in un genere, perché non è una mostra virtuale e non è una installazione è un percorso multisensoriale.

teamLab Borderless, Tokyo

E’ stata concepita come un percorso senza mappa, dove l’arte non ha confini e le opere cambiano a seconda delle ore e delle stagioni. Una costruzione fantastica di mondi inesistenti, fiori sbocciano, animali si spostano camminando, luci si muovono ed esplodono in mille colori.

Ancora una volta è paradossale che tanta tecnologia sia al servizio delle relazioni fra le persone e la natura, scatenando nuove percezioni svincolate dai limiti fisici per provare nuove sensazioni ed emozioni. Il confine spazio temporale viene annullato dal fatto che gli ambienti non hanno punti di riferimento i visitatori possono attraversare, perdendosi, un labirinto di pareti che si espandono e ritraggono.

L’opera che apre questa mostra si intitola Vagando in un universo di cristallo ed è una vera e propria installazione monumentale con la quale i visitatori possono interagire attraverso un’app cambiando gli spazi e le luci.

teamLab Borderless, Tokyo

Non siamo più di fronte ad un fenomeno di tendenza, è nata una nuova modalità di fruire l’opera d’arte, fatta non più di osservazione passiva di qualcosa di statico ma di connessione, una serie di percorsi emozionali fatti di empatia, contatto, esperienze e interazione, che non esclude l’aspetto sociale. Se nella forma ‘classica’ di fruizione l’altro è vissuto quasi come un’intrusione, nella nuova formula le tante persone che provano emozioni creano una sorta di riverbero capace di generare un  contagio sensoriale.

Questi percorsi esperienziali sono luoghi in cui le azioni di un singolo si connettono con quelle degli altri, gli altri sono parte dell’esperienza e quindi dell’opera d’arte. Il visitatore è al centro dell’opera d’arte ed è esso stesso opera d’arte. L’esperienza è azione e creazione, il fruitore è artista e regista della propria esperienza.

Al momento in cui scrivo il ‘teamLab Borderless’ di Tokyo ha riaperto a febbraio 2024, dopo essersi trasferito da Odaiba ad Azabudai Hill e a gennaio 2025 è nato il  ‘teamLab Planets’ a Toyosu

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