Mongolia, provincia di Selenge. Chilometri e chilometri di prateria che sembra non voler finire mai, una distesa sconfinata di verde punteggiata da mandrie di cavalli ed ogni tanto qualche sparuto microvillaggio di nomadi costituito da quattro o cinque ‘ger’, le tipiche abitazioni dei mongoli…
…e poi all’improvviso, incastonato nell’immensa distesa verde, un’enorme stupa: sono giunta ad Amarbayasgalant.Se ne incontrano molti in Mongolia, ma questo è sicuramente il più stupefacente per maestosità e bellezza. Lo stupa è una struttura sacra appartenente alla cultura buddista. In origine era un tumulo di sabbia e pietre ammucchiati che avevano lo scopo di proteggere le reliquie del Buddha. In seguito, con la diffusione del buddismo, è diventato luogo di preghiera e di venerazione e per molti simboleggia il corpo dell”Illuminato’.
L’architettura è semplice ma carica di significati: una grande torre, con tredici scalini a rappresentare le tredici fasi che un buddista deve affrontare per raggiungere l’illuminazione, sovrasta due grandi occhi simbolo della conoscenza e della compassione, il tutto ben ancorato su di una cupola che raffigura il globo terrestre.
Un grande monumento spirituale dunque ma non un tempio, il tempio è proprio ai suoi piedi e si distende nella valle in questa sconfinata steppa.
Visto dall’alto il complesso, con le sue sfumature ocra e rosso amaranto, per i suoi colori, sembra un’enorme tunica monacale adagiata sulla prateria, tanto enorme da coprire le anime dei settemila monaci che vi abitavano prima che le purghe sovietiche, negli anni trenta, li sterminassero radendo al suolo buona parte dei suoi 37 templi.
Le ‘purghe’, iniziate nel 1936, sono state un vero e proprio genocidio. In quegli anni i monasteri di tutta la Mongolia subirono ondate di persecuzioni nel tentativo di eliminare l’influenza del buddismo istituzionale nell’intero paese. Monaci di tutte le età vennero torturati, seviziati e trucidati. Il silenzio di questa valle urla ancora al vento il dolore di quelle anime.
Rispetto al passato, oggi il tempio è quasi deserto: vi vivono una cinquantina di monaci, ma la spiritualità che vi si respira è fortissima e trovo commovente vedere i giovani monaci partecipare ai grandi rituali con la spensieratezza e la trepidazione di chi aspetta la fine degli esercizi spirituali dell’anima per correre fuori e giocare, chissà, forse a pallone, ma ci vorrebbero delle scarpe adatte… delle sneakers, per esempio.